Privato è bello, si dice, ma le traversie e la storia dell’ILVA sono emblematiche. Vi sono diverse categorie di problemi: le dimensioni (vi è sovrapproduzione mondiale di acciaio); l’inquinamento, la gestione privata che non concilia ambiente, salute ed equilibri economici; la mancanza nelle vicinanze di minerale ferroso (importato o trasportato da lontano). Questi fattori, comuni ad alcuni altri poli siderurgici, minano l’autosufficienza del sistema produttivo dell’acciaio in Italia, industria “chiave e strategica” per il paese.
Gestione delle Materie Prime in mano all’Amministrazione Pubblica
I privati non rispetteranno mai le norme ambientali e per la salute. Il profitto è il loro ‘obiettivo esistenziale’, per questa ragione è necessario spostare la GESTIONE DELLE MATERIE PRIME dal privato all’amministrazione pubblica. Il pubblico deve gestire la produzione e distribuzione delle materie prime (acciaio, filati, energia, acqua, gas, etc.) attraverso le INDUSTRIE cosiddette CHIAVE, fulcro delle attività produttive. Infatti attorno alle aziende CHIAVE, sorgeranno numerose aziende di trasformazione delle materie prime in beni e prodotti. Queste dovrebbero essere gestite in forma cooperativa. Per non creare inflazione e tenere bassi i prezzi, le industrie CHIAVE dovranno lavorare con il criterio di “né perdita, né profitto”.
Ma vediamo un po’ di storia e alcune motivazioni.
L’atto di costituzione dell’ILVA, avvenuto nel capoluogo ligure, risale al 1º febbraio 1905 dalla fusione delle attività siderurgiche dei gruppi Elba (che operava a Portoferraio), Terni e della famiglia romana Bondi, che aveva realizzato un altoforno a Piombino.
Nel 1921 la Banca Commerciale Italiana, il maggior creditore dell’azienda, ne rilevò la proprietà assieme a quella di numerose imprese siderurgiche minori. Con la costituzione dell’IRI, l’Ilva e tutte le altre imprese possedute dalla Banca Commerciale passarono in mano pubblica: tutta la siderurgia italiana a ciclo integrale (altiforni di Portoferraio, Piombino, Bagnoli e Cornigliano) era posseduta dallo Stato attraverso l’IRI.
Nel 1961 con la costruzione del nuovo polo siderurgico di Taranto, l’Ilva prese il nome di Italsider.
L’acquisizione dell’Italsider da parte della famiglia Riva: il ritorno a Ilva
La successiva crisi del settore, registrata negli anni ottanta, ne ha poi provocato un grave stato di crisi.
La denominazione Ilva fu ripresa nel 1988 quando Italsider e Finsider furono messi in liquidazione e scomparvero. La “nuova” Ilva fu smembrata alla vigilia del processo di privatizzazione; già ceduto l’impianto di Cornigliano e chiuso quello di Bagnoli, l’acciaieria di Piombino fu venduta al gruppo bresciano Lucchini, mentre l’attività più significativa, il grande polo siderurgico di Taranto, passò nel 1995 al Gruppo Riva.
Sistema di punizione dei dipendenti
A Taranto la nuova proprietà organizza un sistema di punizione dei dipendenti non allineati alle direttive aziendali circa la novazione dei contratti di lavoro, denominato palazzina LAF. La palazzina adiacente al Laminatoio a Freddo era priva di strumenti di lavoro e suppellettili; qui i dipendenti venivano portati per la prima volta dai vigilanti e trascorrevano l’orario di lavoro senza prestare alcuna attività.
Commissariamento
Dopo l’inchiesta avviata nel 2012, lo stato ha avviato la procedura di commissariamento dell’azienda e avviato una gara internazionale per una riassegnazione della stessa; La Am Investco, cordata formata da ArcelorMittal e Marcegaglia è stata scelta per avviare le trattative di acquisizione.
Tre miliardi di debiti!
Sostanzialmente, l’Ilva sembra ancora abbastanza lontana dallo standard di un’azienda che convive felicemente con l’ambiente. Ma, anche ammesso e non concesso che l’Ilva riesca a implementare processi produttivi completamente ecosostenibili, e si riesca a decontaminare la zona da tutte le sostanze inquinanti emesse negli ultimi decenni, rimane un altro grandissimo problema: quello dei debiti accumulati. Il 31 gennaio il Tribunale fallimentare di Milano ha determinato l’ammontare dei debiti Ilva in una cifra stratosferica: 2,9 miliardi di euro. Anche qui, nonostante tutti i danni compiuti e tutti i reati commessi dall’Ilva negli ultimi decenni, il Governo ha mostrato una certa insistenza nel voler tentare un improbabile salvataggio. Con alcuni decreti legge ha autorizzato l’Ilva a contrarre finanziamenti fino a 400 milioni con garanzia dello Stato: ma soprattutto, ha stabilito che il miliardo e 172 milioni sequestrato ai fratelli Riva, gli ex-proprietari dell’Ilva condannati per truffa aggravata, verranno utilizzati esclusivamente per risanare l’azienda.
Bonifiche lentissime
Però questo piano di risanamento procede, stando a quello che scrive Giorgio Meletti sul Fatto Quotidiano, in maniera estremamente lenta. Nel 2012 erano stati stanziati 110 milioni per la bonifica delle zone avvelenate dall’ Ilva: solo il 23 luglio 2015 inizieranno i lavori di bonifica di una parte del rione Tamburi, uno di quelli più vicini alla fabbrica.
La superficie che verrà bonificata, stima il giornalista del Fatto, non copre più di un millesimo dell’intera superficie da bonificare. Per giunta, come afferma l’associazione tarantina “Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti” sul sito www.inchiostroverde.it, “non ha alcun senso bonificare mentre le fonti inquinanti sono ancora in funzione”
Numerosi decessi e ricoveri
L’aumento di mortalità per le varie malattie registrato nella zona di Taranto dal Ministero della Salute (fonte www.ambientebio.it)
L’estrema tossicità delle emissioni dello stabilimento Ilva è stata dimostrata da numerose indagini e perizie mediche disposte nel corso degli anni. Una delle ultime perizie mediche, disposta dal GIP di Taranto Patrizia Todisco nel 2012, ha stabilito che tra il 2004 ed il 2010 le emissioni dì polveri sottili avrebbero causato nella zona di Taranto una media di 83 morti l’anno, e di ben 648 ricoveri l’anno per cause cardiorespiratorie. Le responsabilità dell’Ilva sono dimostrate anche dall’alto numero di operai dell’azienda che sono morti a causa di patologie tumorali, in particolare di tumore allo stomaco, alla prostata, alla vescica e alla pleura.
L’azienda ha evidenziato gravi carenze anche dal punto di vista della sicurezza, con 50 incidenti mortali in azienda negli ultimi vent’anni.
Dateci un taglio
Miliardi nelle casse dei proprietari, indecente situazione dell’aria e dell’ambiente a Taranto. Ciò richiede una azione forte e decisa, un piano di ristrutturazione delle attività, eventuale spostamento dalla città. La proposta è che le aziende produttive siano vicine alla sorgente di materie prime. Porto Vesme in Sardegna è un buon esempio di questo connubio. L’ILVA potrebbe essere acquistata dalla Regione Puglia.