by Tarcisio Bonotto – 08-05-2017

I casi di furti in casa, di rapine, e violenze contro la persona e il patrimonio sono in aumento sembra a causa della crisi economica imperante in moti paesi. Certo può essere la disperazione che porta all’uso della violenza, ma è anche vero che sta diventando sempre più un lavoro regolare, come unica fonte di sostentamento, per molte persone.

Lo Stato italiano, secondo il principio ereditato dall’era fascista, non permette al cittadino di difendersi da solo, con l’uso della forza  anche se vi è minaccia per l’incolumità, l’esistenza, la proprietà. Si dice per non dare spazio ad un sistema di autodifesa individuale di tipo americano, da Far West. La legislazione del periodo fascista ha sostenuto la visione che sia lo stato a prendersi cura della difesa del cittadino arrogandosi il diritto e il dovere di intervenire.

Si potrebbe comprendere questo atteggiamento in un regime totalitario che protegge, come membri di una grande famiglia, tutti i cittadini. Le falle di questa visione le troviamo quando siamo sottoposti a pressioni straordinarie di violenza in casa, furti, rapine come non abbiamo mai visto nel passato recente.

La legislazione attuale ha optato per la classificare della reazione del cittadino sottoposto ad episodi di violenza. Viene commisurato il livello della reazione individuale alla intrusione, alla violenza da parte di terze parti. Si valuta se vi sia un eccesso di legittima difesa poiché, per il legislatore, il cittadino dovrebbe a mente fredda, nel momento dell’aggressione, valutare se la persona è armata, se ha intenzioni malevole, se vuole solo rubare qualche cosa e andarsene, se vi vuole uccidere etc. e decidere di conseguenza il da farsi.

Questa ipotesi di valutazione viaggia più sul crinale della speculazione intellettuale che della praticità. Sono in molti a sostenere che in tali situazioni non si possa misurare esattamente la reazione di legittima difesa,  per  qualsiasi azione proferita da chi si difende, in casa propria, in negozio, in ufficio o per strada etc., perché la reazione è più di natura istintiva che razionale, i tempi di reazione sono infinitesimali e non vi è una preparazione preventiva all’autodifesa, per gran parte dei cittadini.

Quindi nella impossibilità di stabilire esattamente i criteri della reazione dell’aggredito, va presa una posizione chiara e limpida di principio per i casi in cui il cittadino possa essere legittimato all’uso della forza contro un aggressore.

Si parte dalla assunzione che la vita va preservata. Scrive P.R. Sarkar, nella proposta della Carta dei Diritti, da includere nella Costituzione: “… se la pratica di uno qualsiasi di questi diritti confligge con i valori umani cardinali, (ad es. all’esistenza, ndt.) allora tale pratica deve essere immediatamente fermata. Cioè, i valori umani cardinali devono avere la precedenza su tutti gli altri diritti (Riforma Costituzionale – Carta dei Diritti – http://irprout.it/?page_id=333).

L’aggressore può entrare in una proprietà privata, danneggiarla, uccidere eventualmente il proprietario e dopo verrà incarcerato, ma nel frattempo ha causato sia danni che la morte di una persona. Per una errata interpretazione del concetto che la difesa appartiene totalmente allo stato, il cittadino è privato della seppur minima possibilità di movimento, di reazione naturale e ne deriva un danno che potrebbe essere evitato. Lo stato non può arrivare ovunque per difendere chiunque in qualsiasi momento e luogo, per questo l’aggressore ha vita molto facile e i cittadini spesso da vittime diventano colpevoli.

Dovremmo invece legittimare l’azione del singolo cittadino, prospettando dei casi in cui senza ombra di dubbio, mentre lo stato non può agire o essere presente, il cittadino sia autorizzato ad agire con l’uso della forza, per preservare la propria esistenza, degli altri e della proprietà.

Nella attuale visione di legittima difesa, “Vi è forse, una possibile mala interpretazione dei termini VIOLENZA e USO della FORZA. Violenza e Uso della Forza non sono la stessa cosa. A volte l’Uso della forza può essere violenza, anche se non c’è l’intenzione di fare del male. Molte circostanze inducono ad usare la forza contro certi individui. Spesso non è per fare del male ma per preservare la propria vita, dei familiari e la proprietà”. (P.R. Sarkar in Guida alla Condotta Umana).

P.R. Sarkar nelle Regole di Condotta afferma che: “punire un bambino da parte dei genitori può essere considerata violenza? No, non è violenza perché non c’è l’intenzione di causare dolore o male ad alcuno. Il fine di tale punizione non è far piangere il bambino, l’azione è diretta a scopo di correzione. Che sia un ladro, un rapinatore o un gentiluomo o un amico o chiunque altro, qualsiasi azione con un vero spirito di rettifica non può essere designata come violenza, non importa quando possa apparentemente sembrare”.

E’ legittimo preservare la propria esistenza, la proprietà, la propria felicità, per cui azioni che vanno contro tali obiettivi sono da considerarsi violenza. E la propria difesa, per preservare tali principi, non può essere considerata violenza ma uso della forza.

Sarkar elenca i casi in cui è legittimo l’uso della forza, (non si tratta di violenza), da parte di un individuo o un paese aggrediti: “Chiunque con l’uso della forza voglia

  • spossessarvi delle proprietà,
  • rapirvi la moglie,
  • viene armato per uccidervi,
  • vuole demolirvi le ricchezze,
  • incendia la casa,
  • vuole avvelenarvi

è chiamato nemico (Atatayii in lingua sanscrita) . Se una persona o una nazione vuole occupare una parte o tutto il territorio di un altro paese, l’uso della forza fisica contro tali invasori non è contro il principio di “non fare del male” o “non violenza”. In tali circostanze, per una errata interpretazione del concetto di ‘non fare del male’ o non violenza, o interpretando la violenza come ‘uso della forza bruta’ l’uomo comune [che non farà nulla per impedire l’aggressione, ndt.] dovrà soffrire la perdita delle ricchezze, della felicità e subire altri travagli”.

Quelli elencati da Sarkar, sono i casi in cui è legittimo usare la forza contro l’aggressore. Con le conseguenze del caso. Non farlo va contro i principi di preservazione della vita.

Dovremmo risalire allo Statuto Albertino (1848) per avere una dichiarazione singolare sulla proprietà privata, mentre per l’attuale legislazione i danni arrecati al patrimonio vengono interpretati come minoritari rispetto alla vita individuale: “La proprietà privata è sacra, inviolabile, intangibile e solo in casi rarissimi ed eccezionali può essere sacrificata”.

Prosegue Sarkar:L’uso della forza contro un aggressore è valore, desistere è vigliaccheria. Ma chi è debole deve rafforzarsi prima  di combattere contro un potente aggressore, altrimenti l’ingiustizia ottiene temporaneamente dei vantaggi se il combattimento è iniziato senza l’acquisizione di una giusta forza”.

In poche parole lo stato deve liberare il cittadino da lacci e lacciuoli per ciò che riguarda la sfera dei diritti personali all’uso della forza, non della violenza, nei casi citati, altrimenti la vita diventa insostenibile e innaturale.

In effetti chi aggredisce la persona o proprietà o la moglie, usa violenza, non la forza, perché in questo caso vi è intenzione di fare del male o recare danno in modo volontario. Non glielo ha ordinato il medico, all’aggressore, di rapinare una banca o di rubare in una abitazione … Quindi se non si usa la forza l’aggressore ha un temporaneo vantaggio, e l’aggredito può andare incontro a travagli di diverso genere come se a causare tale violenza contro di sé, fosse stato proprio egli stesso. Ciò va contro la ragione e l’intelletto umani.

E’ comprensibile che il legislatore avesse dichiarato, nella legge della Legittima difesa, che l’azione di difesa sia proporzionata alla offesa, certo perché si può sconfinare in rappresaglia o violenza. Ma è anche certo che in circostanze come quelle di un’aggressione in strada, in casa, in negozio durante una rapina il cittadino abbia il diritto di espletare tutte le azioni possibili di difesa con l’uso della forza bruta contro l’aggressore, perché la stessa azione del rapinatore è violenza nei confronti di cittadini e non può essere ammessa. Il legislatore invece cerca di razionalizzare sull’accaduto dicendo che è necessario verificare la reale intenzione dell’aggressore, se è armato, se ha intenzioni violente!, se pensa di uccidervi, dopo di che si dovrebbero prendere le opportune misure e reagire, quando la reazione è più di tipo emotiva.

Sfido il legislatore se è aggredito a passare in rassegna tutti questi elementi nella frazione di un secondo, tempo utile per l’aggressore di compiere l’azione violenta.

Il razionalizzare sui tempi di reazione e l’adeguatezza dell’azione quando a lavorare è soprattutto l’istinto e va in scena ciò che abbiamo imparato per difenderci e la paura, non può essere supportato. Poiché il cittadino aggredito non fa violenza a nessuno, difende la propria esistenza o proprietà. Gli altri non hanno nessun diritto di usare violenza verso il medesimo. L’usare violenza è già un abuso per cui è legittimo reagire con l’uso della forza nei confronti di chi aggredisce.

“Perdonare un aggressore prima di correggere la sua natura, significherebbe incoraggiare l’ingiustizia. Naturalmente se vedete che l’aggressore è risoluto a distruggervi, che usiate la forza o no, sarebbe meglio morire dando almeno un colpo all’aggressore al massimo delle vostra potenza, senza aspettare di raccogliere forze adeguate”. (P.R. Sarkar – Guida alla Condotta umana – Ahimsa, p. 16)

Potrebbe essere necessario, per aiutare i cittadini, istituire dei corsi di formazione per l’autodifesa con strumenti adeguati.

Dibattito sulla Legittima Difesa

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